Locri e Kaulonia

 LOCRI E KAULONIA, CITTÀ MAGNO-GRECHE
(di Gustavo Cannizzaro)

 

 Fu con l'ottavo secolo a.c. che un numero sempre più cospicuo di greci con mezzi di piccolo cabotaggio si avventurarono sulle profonde acque del mar jonio e raggiunsero le nostre sponde, dando così origine a quel processo definito da ogni studioso di storia antica l'epoca della seconda emigrazione, ovvero della colonizzazione ellenica sulle coste dell'Italia meridionale e della Calabria jonica in particolare. Nel corso della loro storia le popolazioni elleniche ( achee, calcidesi, corinzie, laconiche e joniche) conobbero più volte il fenomeno dell'esodo verso terre da colonizzare. Già nell'undicesimo e decimo secolo spinti dall'invasione dei Dori, molti di essi furono costretti a lasciare le amate terre dell'Etolia, dell'Attica e del Peloponneso e dirigersi verso le coste anatoliche per continuare a vivere secondo i principi di libertà, sempre cari a questi popoli antichi. Una seconda ondata migratoria si ebbe sullo scorcio dell'ottavo secolo e sull'inizio del settimo secolo a.C., quando, con l'affermazione della polis, l'aumento della popolazione e di conseguenza una minore disponibilità di terra da coltivare e infine un maggiore potere

concentrato nelle mani di pochi nobili, che diedero origine a sistemi oligarchici, molti greci furono indotti a tentare la via del mare. Questa volta si guardò verso Occidente, il luogo dove tramonta il sole. Così anche l'Ovest, la mitica terra del vino, l'Enotria, divenne sempre più confacente ad accogliere i nuovi arrivati e le nuove regioni iniziarono a non essere considerate le terre dietro le quali scompariva la "palla infuocata" del sole. Presso tanti popoli antichi l'Occidente venne considerato il regno dei morti e quindi destinato ad accogliere le spoglie mortali; non vi è "Mastaba", "Piramide" o " Tomba" posta ad oriente del corso del Nilo; è sulla sua sponda sinistra che sempre più numerose sorgono le varie necropoli. Per secoli l'Oriente è stato visto come luce, colore, vita e il suo opposto l'Occidente ogni forma di oscurantismo, quindi l'ignoto misterioso abitato da ogni sorta di mostro da dove bisognava tenersi lontani. Passeranno svariati secoli prima che Voltaire potesse affermare come la civiltà nata in Oriente, seguendo il corso del sole, si fosse spostata sempre più ad Occidente, così da Menfi si passerà a Creta, ad Atene, a Roma per poi giungere a Parigi, nuovo centro di civiltà. Gli emigranti dell'ottavo secolo, portando con loro qualche zolla di terra della polis di origine, il sacro fuoco acceso presso il tempio del dio tutelare e le statuine degli dei protettori della famiglia, seguivano 1' ecista (oikistes), il capo spedizione (un nobile che assumeva il comando e quindi destinato a divenire il futuro eroe fondatore della nuova città). Tale atto era anche un momento religioso e così l'intera preparazione alla spedizione veniva organizzata seguendo un preciso rituale. Prima di ogni partenza si mandavano messi a Delfi per consultare l'oracolo di Apollo. La Pizia, la sacerdotessa di Febo-Apollo, dava i suoi responsi col pronunciare le sue espressioni sibilline rivelando, così, le caratteristiche della terra da raggiungere. Essa, quasi sempre, era posta al riparo di qualche radura, presentava un pianoro fertile limitato da due fiumi e mostrava un attracco per ogni imbarcazione. Caratteristiche difficili da non trovare lungo la costa dell'Italia meridionale. Consultato l'oracolo, il gruppo, formato da circa duecento uomini per lo più non sposati e molto valorosi, con un breve commiato e con il vento favorevole prendeva largo. Appena giunti, a dirla con A. Lombardo "i coloni procedevano alle fortificazioni del luogo e alla spartizione della terra tra tutti i membri della spedizione; una parte veniva riservata alla costruzione di edifìci pubblici, come i templi. L'edificazione della città veniva fatta secondo un preciso piano regolatore", che nei principi teorizzati da Ippodamo da Mileto traeva origine. Tarante, Metaponto, Sibari, Crotone, Locri e Reggio e subito dopo Squillace e Caulonia, furono le colonie e le sub-colonie che i greci costruirono lungo il litoranee jonico del mezzogiorno d'Italia. "Nel quinto secolo a.C. le città-stato sorte nel sud della penisola Italiana e in Sicilia erano diventate così numerose che tutta quella parte d'Italia veniva ormai comunemente denominata in greco Megale Hellas e in latino Magna Graecia. In quella terra che dovevano considerare ricca di favorevoli opportunità i colonizzatori greci importarono il meglio delle loro cultura: poesia, filosofìa, scienza, tecnologia, religione, mitologia e arte. La Grecia d'Occidente, a sua volta, apportò rilevanti contributi culturali e diede i natali a luminari come Parmenide, Empedocle, Archimede. Piatone ed Eschilo vi soggiornarono" (Michael Bennett e Aaron J. Paul).

 

seconda parte

 

La città di Locri, secondo quanto ci tramanda Eusebio, vescovo di Cesarea del quarto secolo d. C., fu fondata tra gli anni che vanno dal 679 al 673 a.C., ma i ritrovamenti archeologici degli ultimi tempi darebbero ragione a Strabone che la fa risalire ad un'epoca precedente, sullo scorcio dell'ottavo secolo a.C. quando nascono i centri di Siracusa (733 circa a.C.) e di Crotone (710 circa a.C.) sempre ad opera di coloni provenienti dalla Locride (territorio dell'Etolia meridionale e bagnato dalle acque del golfo di Corinto e che nella sua parte orientale si spingeva sulle coste egee). Detti coloni toccarono terra a Capo Zeffìrio, dal nome della rupe che lo sovrasta e che ripara la zona dal vento occidentale. Presso tale posto, oggi conosciuto meglio come capo Bruzzano, i nuovi arrivati trovarono una prima sistemazione, quindi si spinsero più a nord verso la collina di "Esopis" (luogo da cui si vede), territorio più fertile e più adatto alla costruzione della loro città. Naturalmente i fuoriusciti greci, detentori di una diplomazia più raffinata, seppero

 avere buoni rapporti di convivenza con la gente che già da tempo abitava l'intera zona. Con essi stipularono accordi fino a quando non li sottomisero con l'inganno. Polibio ci tramanda come gli antichi locresi si ritenessero alleati degli indigeni fintantoché avessero calcato la terra che calpestavano sotto i loro piedi e portato la testa sulle spalle. Dopo aver stretto alleanza, giunto il momento opportuno, si tolsero i calzari per far cadere i granelli polverosi e le teste di aglio che portavano sulle spalle. Fu così che riuscirono a raggirare gli antichi abitatori e farli assimilare al loro gruppo. Fin da subito la polis prese nome dalla gente che l'abitava e secondo una consuetudine antica, con cui un centro veniva anche definito dal nome del gruppo fondatore, la città venne conosciuta come "I locresi che abitano presso lo Zefìrio" (Oi Lokroi Oi Epizephyrioi), da cui Locri Epizefìri. Pare che il matriarcato fosse tra le prime organizzazioni che ebbe la città; secondo alcune ipotesi non facilmente dimostrabili il gruppo di profughi sotto la guida dell'ecista, Evante, partì dalle coste della locride già formato da servi e da nobildonne, rimaste prive di sposi perché quest'ultimi impegnati a prestare il loro aiuto a Sparta nella guerra messenica. La spedizione coloniale (apoikia) una volta approdata sulle coste italiche mantenne il suo ordinamento. Ciò servirà a giustificare come a Locri Epizefìri la nobiltà venisse trasmessa in linea femminile, anziché maschile. Sempre dalla madre patria derivò la divisione di tutta la gente che abitava la città in tre tribù e l'istituzione dell' "assemblea dei mille" costituita da tutti quei locresi in possesso dei diritti politici. Città tanto conservatrice, da prevenire ogni innovazione al punto che, secondo quanto riferisce Duret de Tavel "esisteva una legge che ordinava che chiunque volesse proporre dei cambiamenti dovesse presentarsi davanti all'assemblea del popolo con la corda al collo per essere strangolato immediatamente se la sua proposta fosse stata respinta". Ben presto la città trovò nel "mitico" Zaleuco, un novello Solone. Sull'importanza di questo uomo di legge, (considerato il primo legislatore del mondo occidentale), L. Costamagna e C. Sabbione così scrivono: "le istituzioni rigidamente aristocratiche di Locri arcaica si collegano alla legislazione attribuita a Zaleuco. Lo storico greco Timeo ritenne questi mai esistito, alcuni storici moderni lo hanno considerato un personaggio mitico, tanto pochi sono gli elementi sulla sua figura e i dati sicuri circa il contenuto e la data della legislazione. Demostene nel 553 a.C. affermò che la legislazione ancora vigente a Locri era rimasta immutata ' per più di duecento anni ', riportandone l'origine quindi almeno alla prima metà del sesto secolo a.C. se non al pieno settimo secolo; Strabone da parte sua la considerò la più antica in assoluto tra le legislazioni scritte dai greci. Essa quindi avrebbe rappresentato il primo tentativo nel mondo greco di sottrarre il diritto all'arbitrarietà del giudice, fissando i rapporti giuridici e sociali di un mondo in rapida trasformazione e avviando il superamento dell'"aura" sacrale che fino ad allora aveva coinvolto anche l'ambito giuridico. Le norme riferibili a Zaleuco mostrano una risposta di tipo nettamente conservatore all'affacciarsi di nuovi ceti e problemi sociali, con lo scopo di mantenere inalterati gli equilibri esistenti, confermando il potere all'aristocrazia terriera ma contenendone le tendenze agli arricchimenti eccessivi e alle differenziazioni economiche mediante norme volte a contrastare il lusso personale e a favorire il mantenimento della proprietà dei lotti originari di terreno agricolo. Nel codice di Zaleuco vi erano norme basate sulla "legge del taglione", che possono sembrare oggi troppo rigide, quasi feroci, ma che all'epoca rappresentavano un progresso di civiltà ed umanità, perché commisurando rigidamente le pene adi diversi reati commessi si evitava la precedente consuetudine delle illimitate vendette familiari".

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