Castelvetere


Castelvetere
 

di Mario Pellicano Castegna
approfondimento sulla origini e la storia di Castelvetere
(tratto dalla GUIDA "Ititnerari Cauloniesi" pubblicata nel 1999 a cura dell' Amministrazione Comunale)

 

 

Di probabili origini tardo romane o piuttosto bizantine, l'antica Castelvetere si affaccia all'età medievale con tutti i dubbi e le incertezze che accomunano tanti centri del nostro Mezzogiorno, intorno ai quali sarebbe persino vano chiedere l'apporto della letteratura storiografica contemporanea o di altro tipo di informazione e documentazione.
E le stesse fonti cinque-seicentesche, alle quali si è voluto dare finora troppo ed immeritato credito, non solo non ci aiutano a colmare un vuoto plurisecolare, ma sembrano anche del tutto smentite dalla più recente critica storica e dai ritrovamenti archeologici di Capo Stilo.

E del resto esse non hanno mai offerto alcunché di positivo e di concreto circa i primordi della nuova cittadina; per cui, in sostanza, non ci resta che il solo nome, Castrum Vetus, e non è molto, cui appigliarsi per testimoniarne una relativa antichità.
Senonchè, altri centri in Campania (Castelvetere di Val Fortore in provincia di Benevento e Castelvetere sul Calore in prodi Avellino) ed in Basilicata (Vietri di Potenza) sono noti nelle carte coeve con lo stesso nome di Castelvetere, e ciò ha fuorviato gli storici locali, tra cui il Prota, facenndo cadere in equivoco laddove introducono nella serie dei feudatari di Castelvetere un Malgerio di Altavilla, la cui presenza è dubbia (essendo manifestamente sospetto il documento che lo riguarderebbe), o un cavalier Roberto de Vetro o un Muscatello, che non hanno attinenza alcuna con la nostra terra.
Ed anche il nome del Filangieri sembrerebbe inaccettabile, ed altrettanto sospetto il documento che lo riguarda: tanto più che l'anno ivi indicato, il 1262, viene coperto da un nome famoso, Galvano Lancia, stretto congiunto di Re Manfredi e sicuramente in quel tempo signore di Castelvetere in diocesi di Gerace, destinato a fare sei anni appresso ben triste fine in Roma, impiccato col figlio Galeotto dopo la giornata di Tagliacozzo.
Siamo già in età angioina e le tenebre incominciano a diradarsi, almeno per quel che attiene alle feudalità, che spesso è la componente meno oscura di storia paesana; ed i nomi del provenzale Matteo de Hyères (de Era o de Area 1269-72), Scarano di Tarante (1272-78), Ancel ed Hervé de Chevreuse padre e figlio (1278- e. 1283) , sicuramente signori feudali di Castelvetere, riempiono i primi anni del regno di Carlo I; e subito dopo, durante la prima fase della guerra del Vespro, Castelvetere balza, forse per la prima volta agli onori della cronaca su piano regionale, poiché risulta, e per un periodo abbastanza lungo (1283-1302), più volte difesa, occupata o rioccupata dalle milizie siciliane dell'ammiraglio Ruggero di Lauria.
Segue un altro periodo di incertezza fino al 1331 in cui troviamo Castelvetere, e forse lo è già da tempo, inserita nel vasto dominio dei Ruffo, conti di Catanzaro poi marchesi di Cotrone, la potente casa calabrese così legata alle vicende storiche della regione, sotto cui rimane, salvo qualche breve parentesi fino alla loro definitiva scomparsa nel 1466.
L'epoca è punteggiata da alcune investiture fatte dai Ruffo, nella loro qualità di signori di Castelvetere, di beni feudali in favore di loro aderenti e cortigiani: suffeudo di Tarsia (1331) a Giovanni de Bosco, che lo Zangari ritiene a torto feudatario di Castelvetere; suffeudo di Landolfo o Sant'Alessandro (1429 o piuttosto 1439) in prodel cotronese Vincio Lucifero, ascendente ed anticausa delle famiglie Terza e Lucano. Ma l'episodio più saliente, finora sconosciuto e per la verità non del tutto chiaro, resta l'assedio postovi dal Cardona nella primavera del 1445 contro il ribelle marchese di Crotone Antonio Centelles, marito dell'ultima Ruffo, che proprio a Castelvetere oppone l'ultima resistenza alla vigilia di una resa ineluttabile ma non ingloriosa.
Già da qualche mese (febbraio 1445), per attirarle più facilmente alla sua causa, Re Alfonso ha sottoscritto con le terre del Centelles grazie e capitoli, sciogliendole dal vassallaggio.
Anche in Castelvetere spira aria di Regio Demanio; ed è in tal frangente che vi appare il nome del famigerato Galeotto Baldaxi, il Baldassino delle cronache, che il Prota erroneamente qualifica, esaltandone la figura come il primo marchese di Castelvetere, di cui è invece soltanto il Re Governatore. Già valoroso commilitone di Re Alfonso, non esita a schierarsi contro il suo erede durante la guerra del 1459-62 in cui si dimostra per dirla col Pontieri, "un essere spietato che furoreggiò col suo terrorismo nel contado nei centri abitati", fino alla sua fuga in Sicilia di dove è originario.

 Dopo una nuova fugace apparizione del Centelles (1462-66), ancora alcuni anni di R.Demanio, sotto il governatorato di Giacomo Carafa, un patrizio napoletano dell'antichissimo e rigoglioso ceppo dei Caracciolo Carafa, il cui mausoleo ne perpetua ancora oggi la memoria.
Anche lui vecchio e prode soldato, fedelissimo degli aragonesi come tutti quelli di sua gente, ha acquistato fama e meriti nelle guerre di Alfonso e Ferrante I, durante le quali ha avuto al suo fianco il giovinetto figlio Vincenzo; ed è in premio di tanta fedeltà che il re gli concede in feudo per sé e discendenti in perpetuo la terra di Castelvetere con i casali ed intero stato (7 maggio 1479) e l'anno appresso la vicina Roccella, che già in passato ha avuto con Castelvetere, e le avrà fino al 1806, vicende feudali comuni. Pare che Giacomo Carafa non lasci di sé un buon ricordo; "persona autoritaria e dispotica" lo definisce lo Zangari; e difficili appaiono i primordi del figlio ed erede Vincenzo (1489-1526), sotto cui il Regno è scosso dalla calata di Carlo VIII e poi dall'intervento militare di Ferdinando il Cattolico che segna la fine della dinastia aragonese. E non è improbabile che Castelvetere, ove è ancor vivo e recente l'anelito della goduta demanialità, approfitti dell'occasione per scuotere il giogo baronale; ed occorre un ordine regio al

castellano Jacopo Conti perché la riduca all'obbedienza (4 dicembre 1496). Ma contemporaneamente vengono sottoscritti Capitoli e Grazie e sono chieste ed
ottenute precise garanzie, tra cui la restituzione dei beni burgensatici e delle scritture dei beni feudali, già stati dei loro antecessori e che i Carafa hanno tolto a due fra i più eminenti cittadini, i nobili Cola ed Antonio de Girace (Hyeraci).
Confermato definitivamente dal Re Cattolico (1505) e da Carlo V (1521), accresciuto col tempo tramiti acquisti e successioni fino a diventare un complesso territoriale di grande rilevanza nella Calabria feudale, il dominio dei Carafa la cui successione è abbastanza nota perché la si ripeta in questa sede, si protrarrà ininterrotto fino alle leggi eversive del 1806; e la loro presenza nella zona, in qualità di grandi proprietari terrieri, avrà un seguito, veramente eccezionale, fino all'epoca presente.
 

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